Focus su AMR – DIABETE – PREVENZIONE
con il Prof. Matteo Bassetti in tempo di COVID
Published: Saturday, August 18th, 2020 - H.02:25PM
Author: Stefania Carlotto
A gennaio tutta la popolazione italiana è stata sostanzialmente tranquillizzata rispetto alla possibile diffusione del COVID-19.
Abbiamo sentito dire che si trattava di “un’influenza rafforzata”, che non occorreva la quarantena
e che il sistema sanitario era prontissimo nel caso, definito “remoto”, in cui la situazione fosse peggiorata.
Eppure fin dall’inizio di gennaio mi sono sorte alcune domande che ho rivolto a vari specialisti.
Mi ha risposto, e lo ringrazio per la Sua disponibilità, il Prof. Matteo Bassetti,
Direttore Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova.
SC
Prof. Bassetti, il COVID-19 ha trovato nel nostro Paese una popolazione che era già sottoposta a due crisi di natura diversa:
da un lato, la popolazione italiana era stata “attenzionata” anni fa dall’OMS in quanto a forte rischio a causa
dell’antimicrobico-resistenza, dall’altro c’è il problema Diabete come risulta dagli studi dell’Osservatorio Arno,
circa 40.000.000 di italiani hanno uno stile di vita diabetogeno.
Essendo due situazioni che hanno un notevole impatto sullo stato di salute e sul sistema immunitario, Le chiedo:
Quanto può aver influito questa situazione pregressa nella diffusione del contagio?
MB
Secondo me le due cose non sono distinte, ma non vanno neanche insieme.
Noi siamo il Paese europeo con la più alta incidenza di germi resistenti e anche con il più alto numero dei morti.
Si calcola che nel 2050, se non si faranno interventi strutturali (che non mi pare siano in atto o in programma),
ci saranno 10 milioni di morti nel mondo per germi resistenti.
E’ quindi evidente che questa problematica è (o sarà) ben più grave di quanto è stata l’onda di questa pandemia in tutto il mondo.
L’Italia è al primo posto per AMR (antimicrobico-resistenza) perché l’Italia è un Paese di “maleducati”
dal punto di vista infettivologico:
ci vacciniamo meno di tutti gli altri paesi europei e usiamo peggio gli antibiotici, anche perché c’è un’elevatissima
auto prescrizione (non è raro che i medici vengano messi in croce da pazienti che arrivano anche a cambiare medico
se insoddisfatti della prescrizione di farmaci).
Nessuno sa esattamente bene come funzionano gli antibiotici, prova ne è che durante il COVID anche a livello ospedaliero
con “due lineette di febbre” ti davano comunque l’antibiotico a prescindere dal fatto che tu avessi o meno la polmonite.
Si registrano inoltre forti criticità all’interno degli ospedali, dove le cosiddette misure di controllo delle sezioni, che servono
anche a ridurre i germi resistenti, non funzionano.
Noi abbiamo sulla carta tanti bei comitati per il controllo della sezione ospedaliera, ma nella realtà questi funzionano
“a macchia d’olio” e “a singhiozzo”.
Tutto ciò premesso, quando in un Paese già impreparato verso infezioni in generale, ed in particolare con un serio problema
verso i germi resistenti, arriva un’ondata di infezione come è stato il COVID in fase iniziale, le conseguenze sono ovvie.
Tanto che alcuni ospedali, dove qualcosa non ha funzionato, sono divenuti essi stessi veicolo del virus.
Possiamo quindi affermare che abbiamo pagato attraverso il COVID (e continueremo a pagare in futuro)
lo scotto dovuto a nostre carenze verso i germi resistenti.
Ovvero non siamo stati in grado di evitare che una infezione di tipo comunitario (quindi dove i luoghi di cura
sono i più a rischio) diventasse una infezione ospedaliera.
Ciò dimostra che su questo tema bisogna investire.
Non è la prima volta che si verificano epidemie, ma in questo caso la situazione riferibile al contrasto dei germi resistenti
è la cartina di tornasole per evidenziare che il problema è molto serio, dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza.
SC
Grazie Professore, la mia domanda nasceva proprio dall’aver constatato che dal patto Stato Regioni (2017)
per contrastare l’AMR non è scaturito nulla:
non si è coinvolta la popolazione, non si è cambiato il modo di comunicare e non si è responsabilizzato nessuno,
non sono diminuite in modo significativo le prescrizioni di antibiotici, ma soprattutto sono falliti tutti gli obiettivi che
il PNCAR (Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza) aveva indicato.
Vorrei ora porLe una domanda che riguarda il Diabete di tipo 2, patologia che viene largamente sottovalutata nonostante
i numeri importanti che si registrano in Italia.
Nel vicentino il 32% dei decessi per COVID ha riguardato persone diabetiche
e sappiamo che il 20% dei pazienti diabetici accusa 5 o più patologie croniche compresenti:
significa che la popolazione diabetica ha un rischio maggiore di essere contagiata,
o un rischio maggiore di non superare la malattia?
MB
Il rischio di contagio è sostanzialmente uguale sia nei diabetici che nei non diabetici, il rischio maggiore è che
il soggetto diabetico accusa uno stato di immunodepressione tale da creare maggiori problemi nella gestione dell’infezione,
anche perché il soggetto diabetico potrebbe difendersi in maniera meno adeguata avendo un sistema immunitario che risente
di questa patologia.
Chi si infetta ed è diabetico ha sicuramente un decorso della malattia più complesso,
oltre al fatto che il diabete è un fattore di rischio importante, che incide fortemente nella percentuale di mortalità.
SC
Nel Report diffuso da EPICENTRO il 22 luglio che fotografa le caratteristiche dei pazienti deceduti, positivi all’infezione
da SARS-CoV-2, spiccano l’ipertensione arteriosa, l’insufficienza renale cronica, la cardiopatia ischemica.
Sono tra le complicanze del Diabete di Tipo 2 e questa patologia non è menzionata, pur avendo registrato il dato evidente
di cui sopra.
Pensando alla popolazione diabetica, quale strategia comunicativa o di prevenzione attuerebbe per contrastare tale criticità?
MB
Intanto i diabetici dovrebbero vaccinarsi per tutte le malattie infettive per cui ci sono vaccini disponibili,
quindi per l’influenza, il pneumococco, l’emofilo, e per tutte le malattie prevenibili
comprese le malattie respiratorie; tali misure aiuterebbero a ridurre molte possibili problematiche.
SC
Proprio ieri è stato posticipato al 15 ottobre lo stato di emergenza.
E’ evidente che questa scelta non ha dato rilevanza ad alcune analisi, cito ad esempio dal
“The Body Economic: Why Austerity Kills”, che dimostrano come
«le situazioni di recessione, di mancanza di lavoro e di austerità, causano un deterioramento della salute mentale e fisica
e un aumento dei decessi».
Indipendentemente dal COVID, dal suo punto di vista,
la nuova proroga al 15 ottobre in che modo è la strada risolutiva per abbattere il contagio, considerando anche che da oltre due mesi
i numeri non sono più quelli di un’epidemia?
MB
Secondo me il continuare con lo stato d’emergenza ha un significato nel momento in cui serve per attuare alcune norme,
però il significato che dà all’esterno è quello di un’Italia che è ancora nell’emergenza e questo non rappresenta esattamente la realtà.
Penso che la proroga sia stata fatta per esigenze “legislative”, magari perché consente di assumere
più rapidamente medici o spendere più rapidamente denari, ma leva molte libertà.
Soprattutto questa proroga dà un’immagine all’esterno che non è quella corretta.
Inoltre induce a prolungare alcuni stati, tra cui lo smart working che secondo me in questo momento è anacronistico
dopo 3 mesi dal picco.
SC
Se, come ci dicono, dovremo convivere con il COVID (affermazione catastrofistica che non trova il conforto nei dati di fatto),
quale strategia metterebbe in campo per tenerlo sotto controllo?
MB
La strategia dev’essere quella di educare il popolo a convivere con il COVID e non di terrorizzare le persone
tra loro e verso chi lo ha contratto.
Educare al COVID significa imparare a conoscerne i sintomi, ma anche tenere conto della sua reale aggressività.
Abbiamo impresse nella memoria le bare di Bergamo e tutti si sono dimenticati che in Italia ci sono ogni giorno
300 persone positive di cui probabilmente 250 asintomatiche.
Imparare a convivere con il COVID significa imparare a difenderci utilizzando le misure igieniche adeguate alla situazione
e alle circostanze, ma dobbiamo anche imparare a fare prevenzione in modo capillare:
soprattutto le persone a rischio debbono vaccinarsi nella prossima stagione per l’influenza e le altre malattie prevenibili
e tutti devono gestire in modo appropriato l’assunzione di antibiotici.
In sintesi quello di cui abbiamo bisogno è fondamentalmente investire in educazione sanitaria e in educazione civica,
per far sì che il cittadino non sia terrorizzato dalle malattie infettive, ma impari a conoscerle, ad evitarle, a prevenirle.
Ringrazio il Prof. Matteo Bassetti per aver accettato di parlare del COVID partendo da due situazioni specifiche presenti
nel nostro Paese, di cui finora non abbiamo sentito parlare.
Un ringraziamento, che diviene anche personale riconoscenza, per sottolineare quanto sia importante evitare il più possibile
i fattori di rischio;
mascherine, distanziamento e disinfettanti nulla possono di fronte ad ipertensione, diabete, insufficienza renale
o cardiopatia ischemica, che invece concorrono a limitare la guarigione in presenza del COVID.
C’è chi trova interessante avere contezza di numeri e statistiche, come pure c’è chi trova appassionanti le diatribe
che sono emerse, ma i cittadini devono essere informati correttamente sulla nostra situazione sanitaria e sulle buone pratiche
da adottare per sostenere la salute.
Impegnarsi tutti per ridurre l’insorgenza di patologie che sono prevenibili, oltre che fare del bene a noi stessi,
ci consentirà di non appesantire il sistema sanitario, già fortemente penalizzato da decenni, e soprattutto di
liberare risorse da investire in altri ambiti:
dal personale alle strutture, dalla ricerca al sostegno di altre patologie.